OMESSI VERSAMENTI IVA: LA DIRETTIVA PIF DETERMINERA’ IL LORO INGRESSO TRA I REATI PREVISTI DALLA LEGGE 231/2001?
-ultima parte-
Eccoci arrivati all’ultima newsletter sulle conseguenze dell’attuazione della Direttiva PIF in Italia.
Come è recentemente e diffusamente accaduto, una società potrebbe trovarsi a dover scegliere, nell’affrontare una crisi di liquidità, tra prediligere l’effettuazione del versamento IVA o tutelare la prosecuzione dell’attività aziendale pagando invece fornitori e lavoratori dipendenti, a scapito del fisco. In detta ultima ipotesi correrebbe però il rischio così di incorrere nella responsabilità ai sensi della Legge 231.
A maggior ragione occorre dunque partire da una corretta interpretazione della normativa europea, tutt’altro che adamantina, dal momento che a seconda del significato che le viene attribuito, la sua applicazione potrebbe portare a conseguenze diverse.
Analizziamo la 1^ condizione prevista dalla PIF per l’imposizione della criminalizzazione delle condotte che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea: il reato deve avere carattere transfrontaliero, tale per cui la condotta sanzionata deve presentare un collegamento con due o più Stati membri dell’Unione Europea.
La prescrizione della Direttiva Europea potrebbe essere interpretata, ai sensi del D. Lgs. 231/2001, nei seguenti modi:
- l’azienda da sanzionare deve avere sede in un Paese UE e svolgere attività commerciali anche in almeno un altro Stato membro, nel quale omettere l’IVA;
- l’azienda di cui al punto 1) deve inoltre omettere l’IVA anche nel proprio Stato;
- l’azienda da sanzionare deve avere sede in un Paese UE e almeno un’altra sede secondaria in un altro Stato membro, e omettere il versamento dell’IVA anche in uno solo dei due Stati;
- l’azienda di cui al punto 3) deve omettere il versamento dell’IVA in entrambi gli Stati membri.
Analizziamo invece ora la 2^ condizione:
dalle condotte criminose deve derivare un danno per l’amministrazione finanziaria dell’Unione Europea per un importo complessivo di almeno € 10.000.000,00.
Laddove si scegliesse come più corretta l’interpretazione n. 1) della prima condizione, una società sarebbe sanzionata ai sensi della Legge 231 soltanto qualora omettesse il versamento dell’IVA per un importo minimo di € 10.000.000,00 in un solo Stato membro.
Laddove invece si reputassero più condivisibili le interpretazioni nn. 2),3) e 4) della prima condizione, una società sarebbe sanzionata ai sensi della Legge 231 solo qualora l’omesso versamento dell’IVA per un importo minimo di € 10.000.000,00 derivasse dalla somma dell’IVA da corrispondere in almeno due Stati membri.
Premesse le possibili interpretazioni di cui sopra, l’introduzione delle “Frodi IVA” tra i reati presupposto della responsabilità degli enti previsti dalla Legge 231 del 2001, potrebbe interessare società con fatturato ingente in un determinato Stato membro dell’Unione Europea, oppure società con attività commerciali in più di uno Stato europeo o con almeno una sede secondaria in altri Stati dell’UE.
Il rischio maggiore sarebbe dunque per le multinazionali, le quali potrebbe però adottare alcuni escamotages, come ad esempio contenere i ricavi soggetti all’applicazione dell’IVA al di sotto il limite minimo di debito previsto in 10.000.000,00 € attraverso la scomposizione delle maggiori società che le compongono in vari rami d’azienda.
Resterebbero tuttavia comunque escluse le PMI, che rappresentano una parte notevole delle aziende italiane.
scritto da Avv. Fabiana Negro
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