Ci troviamo di fronte al caso di dei così detti “Furbetti del cartellino” e ci si riferisce alla nota vicenda giudiziaria che ha coinvolto numerosi dipendenti del Comune di Sanremo a seguito di un’inchiesta avviata nel 2015. Tra i vari soggetti parte dell’inchiesta vi si trovava il custode del mercato di Sanremo, immortalato dalle telecamere degli investigatori mentre timbrava il cartellino svestito. All’esito del processo penale per truffa ai danni dello Stato, celebrato con rito abbreviato, il custode è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Detta conclusione ha gettato alcune ombre sul ruolo degli investigatori e sull’uso delle riprese video fatte dai medesimi.
Preliminarmente, va precisato che la sentenza in questione non è ancora resa pubblica e che pertanto la presente riflessione si basa limitatamente sul dispositivo e sui relativi elementi di fatto emersi dalla cronaca giudiziaria. In questo contesto, va detto che è stato chiarito in corso di processo come il dipendente, che viveva in un alloggio di servizio, apriva il mercato per poi, immediatamente dopo, indossare la tuta con cui svolgeva la propria attività. Parrebbe quindi che non sia la registrazione video a mancare dei requisiti accusatori, ma bensì l’impianto accusatorio stesso che evidentemente mancava di supporto fattuale e di diritto. Come evidenziato dalla difesa del medesimo custode, infatti, vi sarebbe un “tempo tuta” riconosciuto dalla giurisprudenza che permette e rende lecita la condotta tenuta dal medesimo. Non solo, ma va evidenziato che nel processo in oggetto il reato contestato è quello di truffa ai danni dello Stato, che si concretizza nel porre in essere artifizi o raggiri che inducano in errore la persona offesa (lo Stato in questo caso) con relativo danno, portando a sé un ingiusto profitto. Ebbene, posto che evidentemente il “tempo tuta” risulta lecito e riconosciuto, nessun ingiusto profitto con altrui danno risulterebbe essersi integrato. Da qui, l’assoluzione.
Si ribadisce, però, che da una prima riflessione (anche se, come già detto, parziale) la carenza accusatoria non parrebbe ricollegarsi all’attività investigativa vera e propria, non essendo state le riprese il motivo dell’assoluzione, ma bensì il fatto che le stesse
ritraessero condotte lecite.
Un commento più approfondito potrà essere reso all’esito della pubblicazione della relativa Sentenza.
È altresì chiaro ed unico obbiettivo di questa riflessione e di questo Studio Legale in generale, notoriamente difensore degli investigatori privati, scongiurare il rischio di incappare in un pensiero errato. Le registrazioni video e gli altri elementi probatori raccolti dagli investigatori, quando legalmente acquisiti, costituiscono elemento fondamentale per la buona riuscita del processo alla quale vengono in supporto.
Avv. Carlotta Ciciliot