Anche l’Europa interviene a tutelare i consumatori dal greenwashing
Cresce ormai costantemente l’attenzione dei consumatori nei confronti della sostenibilità ambientale dei prodotti. Per questa ragione abbiamo assistito ad un moltiplicarsi delle dichiarazioni di marketing sul tema.
La pratica del greenwashing è sempre più comune, e consiste nella pubblicità ingannevole usata da alcune aziende per attestare il rispetto dell’ambiente nell’esercizio della propria attività. Integra, cioè, la falsa presentazione di un’immagine di impresa impegnata a favore dell’ambiente.
E’ il caso ad esempio di una dichiarazione ambientale riferita ad un intero prodotto, mentre in realtà il beneficio riguarda solo un certo aspetto di tale prodotto, che si verifica ove si reclamizzi un prodotto come riciclabile, laddove lo è solo il packaging.
Una simile pubblicità ha ovviamente lo scopo di aumentare il fatturato delle aziende che lo attuano, inducendo i consumatori ad acquistare i loro prodotti nella convinzione dell’ecosostenibilità degli stessi, mentre in realtà tali aziende che si fregiano di simili qualifiche non annoverano affatto tra i loro obiettivi il rispetto dell’ecosistema.
Si tratta di una pratica in grado di generare concorrenza sleale nei confronti dei beni di consumo e delle società realmente virtuosi, con la conseguenza di favorire, in definitiva, un’economia meno trasparente e meno sostenibile.
Considerato che si stima che addirittura il 50% delle indicazioni pubblicitarie oggi usate sono inaffidabili, l’Unione Europea è intervenuta per tutelare i consumatori dai claims di sostenibilità fuorvianti, emanando la direttiva 2024/825, pubblicata il 6 marzo scorso, che impone una serie di divieti e di obblighi generici di trasparenza, vietando le pratiche commerciali ingannevoli riferite agli aspetti ambientali e di sostenibilità, oggi comunemente utilizzate sul mercato.
Le pratiche commerciali ingannevoli vietate sono punite con sanzioni molto rilevanti, tra i 5 mila ed i 10 milioni di euro.
Tale normativa non è tuttavia ancora stata recepita a livello nazionale, ma nell’attesa che ciò avvenga attraverso l’inserimento di nuove regole più specifiche nel codice del consumo circa la sostenibilità, i consumatori non sono sguarniti di protezione, grazie alle norme generali già contenute nel codice del consumo attuale.
L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) è responsabile dell’applicazione del Codice del Consumo e può sanzionare le aziende responsabili di greenwashing. Ciò è capitato con diverse società importanti, come la Volkswagen (per le dichiarazioni mendaci relative alle emissioni dei propri veicoli diesel), la Eni (la quale aveva pubblicizzato il proprio gas naturale come “fonte di energia pulita”), o l’acqua minerale Ferrarelle (autrice di immagini e slogan ingannevoli, suggestive di un non effettivo impatto ambientale minore del prodotto).
L’IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) vigila invece sul rispetto delle norme sulla pubblicità relative alle modalità di diffusione dei messaggi pubblicitari e ai loro contenuti, anche in materia di tutela ambientale, e può sanzionare le aziende autrici di pubblicità ingannevole.
La direttiva europea 2024/825 è tuttavia intervenuta precipuamente per limitare i marchi di sostenibilità, ossia quelli concernenti gli aspetti sociali, ambientali o entrambi.
Un altro ambito normato sono i claims sull’impatto in termini di gas a effetto serra (GHG) o di CO2, che saranno consentiti solo se fondati sull’effettivo impatto dell’intero ciclo di vita del prodotto in questione. La direttiva vieta in maniera categorica il fatto di vantare un impatto ridotto, neutro o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di GHG se basati sulla compensazione.
La direttiva limita poi fortemente l’uso degli slogan green generici, ovvero le espressioni come rispettoso dell’ambiente”, “green”, “ecocompatibile” etc, cioè di quei claims ambientali che esulino dai marchi di sostenibilità, non specificati in maniera chiara e trasparente.
Inoltre la formulazione di affermazioni relative a prestazioni ambientali future sarà consentita ma condizionata, al fine di assicurarne la veridicità e la trasparenza: dovrà essere fondata obbligatoriamente su un piano verificabile, puntuale e specifico per il raggiungimento dei risultati vantati, che dovrà essere reso disponibile pubblicamente e soprattutto verificabile.
Allo stesso modo, una dichiarazione come “CO2 neutral” sarà consentita solo unitamente al computo delle emissioni che possono alterare il clima lungo tutto il ciclo di vita, che dovrà essere pari a zero.
Da ultimo, anche le immagini, utilizzate negli spot pubblicitari, nonostante siano magari accompagnate da dichiarazioni scritte non fuorvianti, devono essere coerenti con i reali impatti ambientali, così da non produrre impressioni erronee nel consumatore.
L’eccellenza sarà riconosciuta soltanto qualora le prestazioni ambientali siano conformi al Regolamento Ecolabel, ad un sistema regionale o nazionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica di tipo I, in aderenza alla norma En Iso 14024, ufficialmente riconosciuto negli stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali così come previsto dalle altre disposizioni europee.
Le autodichiarazioni ambientali dovranno invece essere conformi al sistema ISO di tipo II, in aderenza alla Norma ISO 14021, e le dichiarazioni Ambientali di Prodotto, al sistema ISO Tipo III, disciplinate dalla Norma ISO 14025.
Abbiamo poi i sistemi di gestione ambientale, come EMAS, e quelli di marchi ed etichettature obbligatori (es. etichettature di risparmio energetico).
Questi sono gli strumenti di certificazione ambientale.
Per evitare il greenwashing, per i claim generici lo studio dell’impatto ambientale del prodotto – e il parallelismo con quelli affini – deve essere basato sull’analisi completa del ciclo di vita secondo la tecnica LCA – Life Cycle Assessment, e deve essere verificato o supportato da ricerche o da entità indipendenti. Il Life Cycle Assessment (LCA) è una metodologia sistematica e quantitativa, che valuta l’impronta ambientale di un prodotto o di un servizio lungo il suo intero ciclo di vita, comprendente le fasi di estrazione delle materie prime, la produzione, la distribuzione, l’utilizzo e l’eliminazione finale del prodotto considerato. Il metodo consente di analizzare il rispetto dell’ambiente in maniera scientifica, in quanto è basato su un procedimento di calcolo quantitativo e su principi condivisi e rigorosi, con un risultato confrontabile e verificabile da terze parti.
E’ infine necessario non dimenticare che i consumatori hanno il diritto e gli strumenti che consentono loro di intraprendere azioni legali contro le aziende che responsabili di greenwashing, per ottenere il risarcimento dei danni subiti.